Una felicità condivisa

Illustrazione di Dianella Fabbri

Perché tumultuano
le nazioni, e
meditano i popoli
cose vane?
(Salmo 2, 1)

Angelo: la porta d’ingresso al libro dei Salmi è a due battenti. Il Salmo 1, con quella prima parola che è anche parola-chiave per comprendere l’itinerario che da lì prende inizio – felice, beato – indica la posta in gioco di questo libro, ovvero la vita buona, che non gira a vuoto e che fa frutto, come un albero piantato lungo corsi d’acqua. Ma per entrare nel mondo dei Salmi occorre oltrepassare una seconda anta, il Salmo 2, che anch’esso si apre con una parola-chiave per l’intero Salterio: perché? La sentiamo risuonare non come una domanda che attende una risposta esatta, piuttosto come un grido di fronte alla presenza inspiegabile del male. Qui il male non è il semplice contrattempo, l’inevitabile farsi male mentre si cammina spediti verso la meta della felicità. No, qui entra in scena il far male intenzionalmente, messo in opera da figure nemiche, che si oppongono al progetto della vita buona.

Lidia: Più che di una nuova presenza, dovremmo parlare di un ritorno in scena di quegli empi e peccatori precedentemente incontrati dal protagonista del Salmo 1, colui che si lascia plasmare dalla Torà meditandola
giorno e notte. Se quest’ultimo non ha camminato lungo la via degli empi, non per questo quella via viene meno. Anzi, ora ci viene detto che quella via insegue colui che l’ha evitata. Non basta decidere di tenersi lontano dal male per sentirsi al sicuro poiché i malvagi congiurano proprio contro chi segue la Parola divina. Quella che per il protagonista del Salmo 1 è parola di vita, che rende fruttuosa la vita, per i potenti del Salmo 2 è una catena, un peso da cui liberarsi. La Parola è illuminazione o imposizione?

A.: Questo è il dilemma. Che tornerà a più riprese nel Libro dei Salmi, con l’insistita presenza del nemico. Figura esterna o voce interiore che, alla stregua del serpente nel giardino di Eden, insinua il sospetto che Dio sia un imbroglio, che la sua parola non sia per la felicità ma leghi e tarpi le ali? Gli oranti dei Salmi sono persone combattute, che si interrogano: perché? E tuttavia, per poter iniziare un cammino occorre scommettere sulla bontà della meta ricercata lungo quella via. Come quando iniziamo a leggere un romanzo: per poter procedere nella lettura dobbiamo sospendere l’incredulità che ci impedisce di dare credito a quel mondo narrativo. Allo stesso modo, il Salmo 2 mette nientemeno che sulla bocca di Dio l’invito a fidarsi, ad essere saggi e a lasciarsi correggere.

L.: Sono sorprendenti i tratti di questo Dio: beffardo e adirato. Non proprio l’immagine che ci è più familiare. E tuttavia, questo modo di caratterizzare Dio è del tutto coerente con le altre narrazioni bibliche. Nel mondo orante dei Salmi, come in tutta la Scrittura, non c’è spazio per una religiosità asettica, che mette in scena la correttezza della relazione col divino, al prezzo di censurare i sentimenti dei due dialoganti. Pulsa il sangue nel corpo del Libro; a volte, pulsa così intensamente che le tempie si gonfiano, il viso diventa rosso e il respiro sbuffa e ansima. Nei Salmi scorgiamo la vita per quello che è, la sentiamo battere i diversi ritmi dettati dalle situazioni. E anche Dio si mostra come il Vivente, attraversato da sentimenti e passioni, pienamente sul pezzo.

A.: Dio entra nell’agone della storia con il suo sogno, quello che i profeti e Gesù chiamano il Regno di Dio, il mondo come Dio lo vuole. Ha stabilito che sia il suo figlio a governare come re-messia. I primi cristiani hanno letto questo salmo in riferimento alla vicenda di Gesù, che ha subìto l’opposizione dei potenti ma è stato innalzato e posto sul trono da Dio Padre. Anche senza giungere a questa lettura cristiana, chi si pone su questo gradino della scala del Salterio scorge l’orizzonte ampio, che abbraccia l’intera storia umana. Se la prima mossa è personale – il singolo chiamato a cercare la felicità – la seconda inserisce la singolarità biografica nell’universalità storica. Si parte da sé ma per andare oltre sé perché la felicità è un cammino da fare insieme ad altri.

L.: E la prospettiva della felicità ritorna nella conclusione del nostro salmo: Beati tutti quelli che confidano in lui! Al plurale ora, per l’appunto. In una storia conflittuale, che deve essere affrontata non solo con la risoluzione del singolo, deciso a non fermarsi con i peccatori, a non sedersi in loro compagnia ma anche con scelte collettive, con assunzioni di responsabilità che provino a dare forma ad una felicità condivisa. La voce divina che risuona in questo salmo ci scuote dal ripiegamento individualista e sollecita ad abitare la polis con la saggezza della Parola.